Le maestre

Le maestre non invecchiano mai.
Cantanti, ballerine alla recita di fine anno, direttrici d’orchestra e di cori, suggeritori nella buca.
Spalancano la bocca in A esagerate, muovono le mani e accennano l’inchino per non far perdere pezzi ai propri bambini.
Applausi.
La scuola è finita, i genitori scattano foto.
Le maestre si siedono esauste, di una stanchezza infinita.
In quella stanchezza ci sono duecento giorni di vita insieme ai bambini,
un occhio al programma e uno su ognuno di loro: hanno mille occhi le maestre.
E appoggiano labbra sulla fronte per scovare due linee di febbre, raccolgono vomito, consolano, scrutano espressioni e stati d’animo, mentre insegnano sillabe e tabelline.
Poi cercano parole per spiegare e far crescere piccoli uomini e piccole donne consapevoli.
Dicono, ripetono e ripetono ancora, ma molto più spesso ascoltano e abbracciano i bambini e i loro preziosi pensieri.
Nella fatica delle maestre c’è tutta la preoccupazione di un artigiano del vetro soffiato.
Bisogna agire con delicatezza per arrivare a creare un capolavoro, imperfetto e perfetto com’ è solo un lavoro fatto a mano.
Le maestre non invecchiano mai perché non possono permetterselo.
Per crescere i bambini ci vogliono chili di entusiasmo, cartoni di pazienza sulle spalle, forza per non cedere all’abitudine di un lavoro che può sembrare sempre uguale ma non lo è mai, perché cambiano i bambini e cambia il mondo, e cambiano le parole e si invertono le sillabe e numeri nel banco di un bimbo dislessico, si rompe il silenzio nei bisogno d’attenzione di una bimba autistica, si riparano fogli strappati e ferite sulle ginocchia e nel cuore.
Non invecchiano mai le maestre, grazie al cielo e grazie a loro.
Che non c’è lavoro più difficile, che non c’è responsabilità più grande che crescere I figli del domani, i figli degli altri come fossero i propri.
Ci vuole un briciolo di follia per fare la maestra in questo mondo a rotoli, ci vuole incoscienza e coraggio e l’immaginazione di mille Piter Pan.
“Poi la strada la trovi da te.
Porta all’isola, che non c’è.”
Irene Renei
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