Silenzio
Il mondo urla.
Non è più in grado di comunicare in maniera pacata, di sussurrare.
Non è più in grado di lasciarti il tempo di assorbire una notizia.
Il mondo della comunicazione soprattutto, non fa decantare, nemmeno il dolore.
E se ieri aprendo i social mi pugnalava il dolore per la morte di un figlio di vent’anni come il mio, oggi si pugnalano uno con l’altro politici di destra e di sinistra in un balletto tragico che costringe un padre nel pieno dello strazio a prendere parola per fermare una ruota che gira e stritola senza rispetto alcuno la vita di uno e dell-altro.
E mi viene da dire, signori con la penna in mano e signori con le borse incollate a Montecitorio che non c’era alcun bisogno di strapparsi dalle mani la foto di Said per capire se ci fosse o no razzismo nel nostro paese .
La sua terribile decisione è derivata da altre cause?
Questo non lava comunque le nostre coscienze con la candeggina.
Sapete di cosa c’era bisogno oggi?
C’era solo bisogno di silenzio.
Perché il silenzio porta fuori ricordi e consapevolezze.
Nel silenzio delle mie giornate ho sentito una donna urlare “Questi stranieri di merda” ad un’amica marocchina che ha tossito in autobus dietro alla sua mascherina .
Nel silenzio di una fila del supermercato ho sentito gridare parole irripetibili ad un uomo che aiutava solo a mettere a posto i cartelli.
Nel silenzio mi sono sentita negare per un anno qualsiasi tipo di visita per un appartamento in affitto perché la cercavo per una donna straniera che offriva un anno anticipato pur di riuscire a trovare una sistemazione.
Non c’è una gara in corso, abbiamo perso tutti.
Perché un ragazzo si è tolto la vita,
Perché un medico di colore riceve insulti ogni giorno mentre tenta di svolgere il suo mestiere,
Perché sento dire da una conoscente insospettabile che quella ragazza di Santo Domingo l’ha servita male oltre a rubare il posto di lavoro ad un italiana.
Abbiamo perso tutti perché se non c’è parcheggio al primo giro c’è chi ferma l’auto sui parcheggi dei disabili.
Abbiamo perso tutti perché si continuano a costruire marciapiedi con barriere architettoniche.
E potrei andare avanti per cento pagine.
Quindi cosa urlate a fare?
Lasciateci in silenzio, ognuno nel proprio, ad ascoltare i battiti della vita che ci scorre affianco, nel vicino di casa che ha bisogno, nel collega razzista che straparla.
Che magari nella lentezza e nel silenzio riusciamo a prendere tra le dita qualcosa per cui abbia senso parlare davvero.
Che magari nel silenzio ci ascoltiamo dentro un po’ di più, digeriamo il dolore, individuiamo l’errore.
Magari nel silenzio impariamo a rispettare l’altro.
Magari.
È solo un tentativo.
Ma lasciatecelo fare.
Irene Renei